Nel momento in cui scrivo, il valore (in caduta libera) di un barile di petrolio è arrivato a 44.58 dollari. Più oscillanti, anche perché l’ISIS non fornisce dati e non ha bilanci, sono il valore di un’autobotte di greggio sul mercato clandestino e il guadagno che da questo traffico ricava l’organizzazione terroristica, stimato comunque da più fonti in alcuni milioni di dollari al giorno.

Più variegato diventa il discorso se si parla invece del valore di un kalashnikov. Mercato legale o illegale? Modello originale russo (non ufficialmente in vendita) o “copia” cinese? Il buon vecchio AK-47 o il nuovissimo AK-12? Che si voglia andare ad acquistarlo direttamente nei Balcani o che si reperisca localmente, sembra che con la modesta cifra di 2.000/2.500 dollari ci si possa portare a casa uno dei fucili utilizzati nelle stragi di Parigi.
Ecco allora che anche l’ISIS, insieme ad Al Qaeda e ai terroristi di tutte le bandiere, condivide con il mondo della globalizzazione alcuni valori tangibili, per quanto mobili: quelli del mercato, dove l’unità di misura, paradossalmente, è proprio l’odiata moneta del Regno di Satana: il dollaro, appunto.

Quando si passa però dal valore di scambio ai valori intangibili della morale e della vita associata, il discorso si fa molto più complicato, con implicazioni spesso contraddittorie.

In questi giorni la parola “valori” è stata al centro di tutte le conversazioni. Giornalisti, politici, intellettuali, cittadini comuni l’hanno utilizzata continuamente e forse (è l’argomento di questo breve articolo) anche con una certa leggerezza.
Perché si è sentito subito il bisogno di parlare di “valori” – anzi, di invocarli? Sicuramente perché si tratta di una parola “calda”, carica di elementi emotivi. E poi perché si deve aver pensato che ci fosse il bisogno di qualcosa che unisse; qualcosa di buono e di pacifico (ma anche di vago) da opporre alla violenza cieca – un po’ come la matita appuntita di “Charlie Hebdo” si contrappone, anche nella forma, al fucile degli assassini.

E’ stato infatti il primo massacro a condurci per mano verso una chiave di lettura fin troppo facile: si attacca il valore della libertà di opinione nella patria stessa delle libertà. La strage al supermercato kosher (mediaticamente messa in secondo piano rispetto al primo evento e non solo per una mera questione cronologica) ha reso quantomeno parziale la prima lettura, tornata però prepotentemente al centro dell’impressionante manifestazione di domenica.

Anche nel panorama dei tweet italiani successivi agli eventi la parola “valori” ha avuto un’impennata fortissima; parola ovviamente accompagnata nel tag cloud da “libertà” ed “Europa”, ma anche da espressioni sempre meno rassicuranti come “minaccia”, “nostri valori”, “nostra civiltà”, “difendere la nostra società”. Prendiamo solo due tweet: uno di Matteo Renzi e l’altro di Giorgia Meloni. Mentre Renzi si richiama ai “valori di tutta Europa”, la Meloni parla del “coraggio di opporsi con forza a chi ha dichiarato guerra ai nostri valori”. Al primo tweet verrebbe da rispondere: “Quali? E quale Europa?” E al secondo: “Scusi, ma non ho l’armatura da crociato”.

Proprio perché dai valori intesi come elementi fondanti della società possono partire azioni politiche (anche diametralmente opposte) con effetti importanti per il futuro di tutti noi, forse si rende necessaria una riflessione più approfondita sul tema, una volta attenuata la prima forte ondata di emozione. Una riflessione che coinvolga non solo il mondo politico (che strumenti per farla ne avrebbe a iosa, ma che forse non ne ha la voglia né la capacità), ma anche gli intellettuali e l’opinione pubblica tutta. E che s’interroghi anche su un elemento del delirio terrorista: il fatto che questo si erga a giudice e boia di un mondo che considera condannabile proprio perché senza più valori. A parte la condanna, possiamo dire con sicurezza che la (rozza) diagnosi sia del tutto infondata?

Molti potrebbero essere gli stimoli culturali per questa discussione, Papa Francesco compreso, ma un punto di partenza dovrebbe essere sicuramente la “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea”. In questo importante documento, preludio ideale a una vera Costituzione Europea che non c’è (ancora), si paga un tributo ai valori solo nella pagina del “Preambolo”. E poi, però, si parla esclusivamente di “diritti”: una parola sobria, asciutta, apparentemente “fredda”, ma che diventa “calda” quando nelle poche pagine del testo si unisce ad altre parole come “dignità”, “libertà”, “uguaglianza”, “solidarietà”, “cittadinanza”, “giustizia”.

Proviamo a ripartire dai diritti (figli della Rivoluzione Francese) e da Place de la République, dove si è intravista una nuova possibilità di Europa, non solo (e non tanto) nel fronte dei capi di governo, ma nelle persone che erano lì per infiniti motivi diversi, tutti però riassunti in quello che secondo me è lo slogan più bello dell’intera manifestazione e, insieme, il nucleo di un futuro programma d’azione: “Je pense donc je suis”, il “Cogito ergo sum” di Cartesio. A lui, francese, dobbiamo essere riconoscenti non solo per aver affermato la centralità del pensiero razionale, ma anche il diritto/dovere intellettuale di dubitare di tutto, valori compresi. Quel diritto al dubbio che i terroristi, armati di granitiche certezze oltre che di fucili d’assalto, hanno voluto attaccare. Sì, oggi lo slogan è “Je suis Charlie”. Da domani, “Je suis Descartes”.

  1. A seguito dei fatti accaduti a Parigi settimana scorsa si è scatenata una tempesta mediatica dove tutti parlano, parlano, parlano. E spesso parlano a sproposito. Dalle ambigue provocazioni del comico francese Dieudonné che quasi va a schierarsi con il terrorista Coulibaly a quelli che gridano alle guerre di civiltà. Giovedì, durante una manifestazione in piazza, ho addirittura scorto un cartello con la scritta “No al razzismo importato” (ma che cavolo significa?). Insomma, alle sparatorie sono seguite battaglie di slogan, tweet e tutto il resto. Oggi intanto è uscito un nuovo numero di Charlie Hebdo. Normalmente tirava 40 000 copie e faceva fatica a smaltirle tutte, questa volta i 3 milioni di copie erano già esaurite alle 8:30 del mattino. Ma perché ?

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