Lo potremmo chiamare “effetto abitacolo”, ovvero quella strana metamorfosi che colpisce il bravo padre di famiglia, educato e per bene che, una volta in auto, in mezzo al traffico, dà sfogo ai più bassi istinti e alla più truce aggressività, volgarità e rissosità. Cosa lo innesca? La “protezione” fornita dall’abitacolo stesso, la garanzia di anonimato, l’assenza di contatto diretto, l’annullarsi, così, di tutte le convenzioni sociali e le regole di convivenza civile ma, soprattutto, la garanzia di impunità e irrintracciabilità.
Un atteggiamento, in ultima analisi, profondamente vigliacco ma che è un automatismo dal quale nessuno, in varia misura, è immune. I Social Network sono la versione digitale dell’effetto abitacolo. Branchi di troll e insultatori di professione si coagulano per attaccare alla giugulare il vip di turno ma non solo lui. “Prendi uno «famoso», fallo a fette, irrompi nella sua vita, offendi quanto ha di più caro, demoliscine l’immagine, deridi il suo aspetto, picchia duro nelle sue debolezze, offendilo a morte. E sarai un campione della vendetta via Web. Si può fare, si può fare tutto, nei social network, e su Twitter in particolare” scrive Pierluigi Battista sul Corriere oggi.
Bene, i social funzionano così, esattamente come le urla e gli insulti che ognuno di noi si prende nel traffico cittadino, semplicemente perché sono, lo ripeto dopo averlo scritto qui, un ecosistema sociale digitale che riflette, con fedeltà, la nostra società, nel bene e nel male. Il problema casomai, è un altro. Perché un qualsiasi individuo sceglie di aprire un profilo Facebook o un account Twitter? Per moda, salta su qualcuno, per comunicare, corregge qualcun altro, per condividere e contribuire all’intelligenza collettiva, interviene il Web-guru. Tutto vero, per carità, ma quando ad aprire un account Twitter sono giornalisti noti, grandi personaggi il gioco assume contorni un po’ diversi.
Che bisogno aveva Enrico Mentana di aprire un suo account Twitter? Direttore di telegiornale, giornalista famoso, seguito e ascoltato, modalità di comunicazione con il suo pubblico ne aveva e non poche. Eppure ha scelto uno degli strumenti di comunicazione più diretta, che permette al suo pubblico d’interagire direttamente con lui, senza filtri. Già ma il pubblico è composto dalle stesse persone che poi salgono in auto e insultano ferocemente il guidatore distratto che non scatta al verde del semaforo.
Se qualcuno lo ricorda, quando il Vaticano aprì l’account del Papa (@pontifex), si scatenò una valanga di tweet dall’ironico alla più tremenda bestemmia. Eppure quell’account è rimasto lì e, con calma, l’onda anomala dei troll è scemata. Sapevano bene, oltretevere, a cosa andavano incontro. Hanno deciso di giocare, con le regole dei social media, si sono assunti i loro rischi e stanno andando avanti.
Enrico Mentana e tutti i vip e i giornalisti che sono sbarcati in massa su Twitter l’avevano capito in che cosa si andavano a ficcare? La sensazione è che non fosse e non sia del tutto chiaro. Probabilmente è un po’ la sindrome del giornalista che riappare, ovvero quella che lui scrive, o parla davanti una telecamera, e il pubblico legge e ascolta, stop.
Brutta bestia, il pubblico. Che non si permetta di reagire, interloquire, criticare, mettere in discussione. In fondo noi giornalisti siamo o no una casta? Sui social, però, è tutto diverso. Il meccanismo di base è proprio l’interazione e così ai giornalisti a volte saltano i nervi, (qualcuno ricorda il caso del Sole 24 Ore e di @job24?).
Anche l’addio di Mentana a Twitter sa un po’ di reazione stizzita e un pizzico arrogante. E’ il Web, bellezza! Si potrebbe dire, brutto, sporco e cattivo, esattamente come la società in cui viviamo. Se non ti piace entrarci troppo in contatto, beccarti qualche insulto, l’account non era neanche da aprire. D’altronde, prima di staccare la spina, basta esplorare i dati di Twitonomy (sezione “user most retweeted” e “user most replaied to”) per rendersi conto che il direttore del tg de La7, interagiva praticamente solo con altri importanti firme del giornalismo italiano. Insomma, una sorta di circolo della stampa digitale che però, sui social media, non ha né guardie all’ingresso né reception e ci possono entrare tutti, ma proprio tutti. Ma è proprio questo il bello, troll o non troll.
Detto questo, Enrico Mentana aveva una social authority di 80 su 100, vuol dire che la sua presenza nei social media era importante, che era seguito, considerato autorevole e una fonte primaria d’informazione, in sintesi era una risorsa informativa per tutti quelli, e sono la maggioranza, che lo seguivano e l’ascoltavano. Insomma “muoia Sansone con tutti i Filistei”. I troll mi attaccano, io me ne vado, che gli altri si arrangino.
Tanti gli errori commessi, in questa storia. Errori di valutazione iniziale, di gestione, mancanza di rispetto nel chiudere l’account stesso. Insomma, scarsa conoscenza del mezzo e conferma indiretta di quanto sostenuto da Barbara Collevecchio, per la quale i giornalisti su Twitter sono “dei grandi narcisisti e chi li critica va censurato”. Alla fine perdiamo un po’ tutti ma fa un po’ specie che si alzi l’indignazione sulla violenza nella Rete, solo quando tocca nomi noti. Il problema esiste da tempo, la Rete ne dibatte (un mio contributo qui).
E’ necessaria una grande riforma culturale del nostro Paese ma che coinvolga anche e soprattutto chi appartiene alle elite culturali. Comportarsi con stizza, interrompendo il dialogo, non è un bell’esempio.