Starbucks è senza dubbio una vera e propria istituzione tra le Coffee Company, un’icona tra i giovani di tutto il mondo che ha raggiunto, in poco più di 40 anni, quasi 20.000 caffetterie distribuite in 58 paesi. Nata come una piccola società, l’azienda della sirena a due code è cresciuta in maniera esponenziale attraverso una strategia di marketing che ha scelto di investire sulla qualità e sulla fidelizzazione della clientela. Non esiste una vera campagna pubblicitaria di Starbucks (cartacea e cartellonistica), l’azienda ha, infatti, puntato tutto sul rapporto più diretto con il consumatore esportando nel mondo il modello di autenticità della caffetteria italiana. Nella strategia messa a punto da Howard Schultz, presidente e amministratore delegato, la qualità la fa da padrone, sia per quanto riguarda le materie prime sia per il servizio da parte dello staff. Basti pensare che Starbucks è definito il famoso Third Place, il terzo luogo di incontro, dopo la casa e il lavoro, dove rilassarsi e sentirsi come a casa propria. Non una semplice caffetteria, ma un luogo di aggregazione e di socializzazione dove sorseggiare un caffè diventa un piacevole passatempo. Ed inoltre, passeggiare con in mano un bicchierone di Starbucks Coffee è cool, fashion e regala un tocco di glamour in più. La Company americana ha sempre preferito non investire in campagne pubblicitarie milionarie ma affidarsi al word of mouth, lasciando parlare la qualità dei propri prodotti e l’efficienza dei propri servizi.
Per un’icona come Starbucks, la creazione di una Brand Community è stato un passo fondamentale e la scelta di puntare sui social media in maniera importante ha contribuito a consolidare il successo di un’azienda che mette il cliente al centro dell’attenzione, facendolo sentire partecipe e coinvolto nelle decisioni el gruppo. Da qui la creazione di “My Starbucks Idea”, un social network dove i clienti possono esprimere le proprie opinioni e condividere qualsiasi idea per migliorare Starbucks, e il blog Ideas in Action, scritto da diversi impiegati che raccontano come le proposte dei consumatori possono diventare realtà.
Una community vera e propria, dunque, che si mostra attiva e partecipe anche sugli altri social media, da Facebook, dove la pagina Starbucks ha superato i 30 milioni di like, a You Tube dove Starbucks posta video commerciali e di informazione e consente di esportarli ed inserirli ovunque, contrariamente a quanto fanno numerose aziende che temono di vedere il proprio marchio associato ad un’immagine negativa. Evidentemente sicuro della propria high reputation e per nulla intimorito dalla possibilità di vedere la propria immagine danneggiata, Starbucks ha adottato questa politica più “liberal”, rivelatasi decisamente efficace in termini di diffusione del brand. Del resto per una realtà che mette al primo posto il rapporto con il cliente e che fa della personalizzazione uno dei propri fiori all’occhiello un’apertura nei confronti del proprio target diventa pressoché inevitabile.
L’idea della personalizzazione è così sentita dalla catena americana, che il sistema di gestione degli ordini prevede che il personale scriva con un pennarello i nomi dei clienti sulle tazze per identificare le diverse ordinazioni; un sistema divertente ed apprezzato, capace di creare da subito quel clima di famigliarità che ha reso Starbucks unico al mondo.
Lo Starbucks Spelling è diventato a sua volta uno strumento identificativo, un vero e proprio tool per l’azienda che ha scelto di utilizzare i più divertenti misunderstanding generati da questo sistema su Tumblr http://newsfeed.time.com/2011/07/05/tumblr-of-the-week-starbucks-spellings/ , confermando ancora una volta la volontà della company di sfruttare la viralità dei social. Purtroppo non tutto fila sempre liscio e non sorprende affatto che anche nel meccanismo impeccabile del colosso americano qualcosa si sia inceppato, come ha dimostrato il tam tam che si è generato intorno all’episodio del barista di Starbucks accusato di razzismo.
A Parigi (città peraltro particolarmente sensibile a questo tema ) un inserviente di una delle caffetterie del gruppo è stato accusato di discriminazione razziale per aver disegnato un paio di occhi a mandorla sul bicchiere di un cliente americano, di origini coreane, anziché scrivere il suo nome. Il giovane, che pare non aver gradito affatto il gesto, ha postato la foto del disegno sui social network tacciando di razzismo lo Starbucks situato nel Marais e gettando improvvisamente la catena americana nell’occhio del ciclone. Questo episodio mostra un po’ il classico rovescio della medaglia: se infatti nel complesso le logiche della personalizzazione e dei social media hanno sempre avuto la meglio e hanno contribuito al successo di Starbucks, in questo caso si sono rivelate un boomerang per l’azienda che ha subito un danno alla propria immagine e alla propria reputazione, con una eco mediatica forse anche un po’ eccessiva. Ora, dopo le scuse del management che non si sono fatte attendere, non resta che aspettare di leggere se ci sarà un prossimo capitolo della vicenda, perché le aziende serie che si aprono in area social sanno che episodi del genere succedono e la loro gestione fa parte dell’ordinaria routine per il team di comunicazione.
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