Noooo! Era tempo che non sentivo più la necessità di dire, parlando di marketing e comunicazione, ‘purché se ne parli’. Mi è appena capitato, e l’aspetto peggiore sta nel fatto che a scatenare il mio moto di disapprovazione sia stato L’Ente del Turismo Norvegese, Ente che negli anni ho sempre apprezzato per la creatività e l’efficacia delle iniziative volte a promuovere il territorio.

Oggetto della nuova campagna è’ l’Urlo’ di Munch, artista norvegese già tante volte utilizzato, a ragione, per promuovere il brand Norvegia, soprattutto in termini reputazionali. E poi? E poi il tracollo con l’ultima campagna promossa sul sito Visitnorway. ‘L’Urlo’, espressione assoluta di disperazione dell’uomo e dell’artista, viene scimmiottato attraverso una geniale operazione creativa finalizzata a raccogliere ‘l’urlo’ più lungo del mondo: un urlo ‘da paura’, di eccitazione, risposta ad un’esperienza sensazionale. E allora andando sul sito si vedono giovani, vecchi e bambini intenti a urlare fortissimo, come se l’intensità dell’audio consentisse un qualche tipo di vantaggio nello storytelling. Qualcuno di loro, in tutto il mondo, vincerà ogni settimana un viaggio in Norvegia, ‘da urlo’ appunto.
Bravi, creativi, diversi, molto molto ‘virali’.
Ma cosa penseranno tutti coloro che sanno qualcosa della storia di Edvard Munch? E sono tanti, in tutto il mondo. Basti pensare che il quadro è stato venduto all’asta il 2 maggio 2012 alla cifra record di $ 119.922.500 a New York e che i temi proposti nell’opera entrano nei programmi scolastici di Storia dell’Arte Contemporanea in tutto il mondo. Senza aggiungere (ma aggiungiamo pure!) che il quadro è entrato ormai da anni in tutte le pieghe della letteratura, del cinema e dell’arte a livello internazionale.
Cosa penseranno dunque questi potenziali visitatori della Norvegia che avranno conosciuto ‘l’Urlo’ come espressione di dolore, come autentica sofferenza dell’autore, come rappresentazione della solitudine. Forse avranno pensato di essersi sbagliati, di aver ‘perso’ qualche pezzo in qualche libro scolastico. Allora apriranno Wikipedia e tutto sarà più chiaro… e terribilmente irritante!

“L’artista ci offre il ricordo, lo scatto di quel momento per lui inspiegabilmente terrificante attraverso i suoi occhi. Filtra il reale attraverso il suo stato d’animo, la sua intima sofferenza, il pesante tanfo della paura. I colori del tramonto perforano la sua sensibilità con violenza, animandosi di cruenta intensità. Ed ecco che allora, nell’impeto dell’angoscia, l’uomo che urla solitario sul ponte perde ogni forma umana, diventa preda del suo stesso sentimento, serpentiforme, quasi senza scheletro, privo di capelli, deforme. Si perde insieme alla sua voce straziata ed alla sua forma umana tra le lingue di fuoco del cielo morente, così come morente appare il suo corpo, le sue labbra nere putrescenti, le sue narici dilatate e gli occhi sbarrati, testimoni di un abominio immondo” (tratto da Wikipedia).
E come se non bastasse, poche righe sotto, viene riportata la spiegazione che lo stesso artista dà di quel momento di sconforto, e questa ha tanto da attingere dalla stessa Norvegia. “Sì, le ultime crisi sono state proprio brutte. Mi pareva di soffocare, il mondo mi girava intorno, quasi non riuscivo a stare in piedi: però ora va meglio, riesco a calmarmi, a guardarmi indietro, a ricordare, qualche volta a rivivere quelle emozioni… Siete mai stati in Norvegia? Lo sapete cosa vuol dire stare sul margine estremo, al Nord dell’Europa? Oh, certo, magari qualcuno di voi è venuto in vacanza, nella bella stagione, nelle lunghissime sere di giugno. Lo so benissimo, ci sono addirittura delle navi da crociera, piene di luci, con tanto di cabine di lusso, che percorrono i fiordi e approdano al porto della mia città, Oslo. Giorni magnifici, non discuto: i turisti sono entusiasti, guardano i fiordi, il sole di mezzanotte, il verde scintillante che scende fino al mare. Ma bisogna coglierli al volo: passano in fretta. Poi, le nuvole, la pioggia, il freddo, l’orizzonte che si fa grigio, la solitudine. Per me, cala l’angoscia. Ho il terrore di rimanere solo. Voi che venite in Norvegia d’estate dite che qui si sta bene, ma io da bambino, a soli cinque anni, ho visto morire mia madre di tubercolosi, poi mia sorella Sofia, quindi, improvvisamente, anche mio padre. Io stesso ho sempre avuto una salute fragile (lo ammetto: col tempo, la vodka e l’acquavite non mi hanno aiutato!), stretto da un’educazione puritana e moralista e le notti del grande Nord, gelido e inospitale” (tratto da Wikipedia).

Accidenti che errore questa campagna. Che distanza abissale tra la forma e il contenuto. Quanta enfasi sulla creatività fine a se stessa. Che brutto esempio di comunicazione: stare a guardare un urlo lunghissimo fatto da persone burlone che così poco hanno da condividere con il silenzio di quell’opera grandiosa che è stata espressione della fragilità di un uomo, ma per molti ha anche rappresentato la fragilità di tutti gli uomini.

 

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