Solo qualche anno fa sarebbe stato rischioso per un’azienda prendere una posizione netta su un tema che divide profondamente l’opinione pubblica. Oggi invece stiamo assistendo ad un’inversione di “tendenza” nel mondo della comunicazione. Da Burger King a Twingo, sono sempre più numerose le multinazionali che hanno realizzato messaggi gay friendly per promuovere il proprio brand.
Inversione di tendenza si, ma decisamente strategica da parte di tutte quelle aziende che hanno saputo sfruttare l’affermazione anacronistica dello scorso Settembre di Guido Barilla che, con un’indignazione unanime della rete, ha ottenuto ben oltre 600 retweet, regalando un’intera fetta di consumatori a brand concorrenti. Da qui la corsa delle multinazionali a ridefinire nuovi confini per la reputazione del proprio marchio, realizzando messaggi che rappresentino “ il futuro e non il passato”.
Il numero di spot pubblicitari e le attività di PR con protagonista il mondo gay sono infatti in continua ascesa, dal più recente Proud Whopper di Burger King allo spot europeo di Mc Donalds’s France che ha coinvolto più di 5 milioni di spettatori, passando ai “nostrani” sughi Althea che ha ricevuto quasi 100 mila visualizzazioni su YouTube fino ad arrivare al caso più recente dello spot Findus dove il messaggio non è affatto velato, ma anzi volutamente protagonista che con oltre 140 mila visualizzazioni su YouTube ha attestato una vera tendenza alla pubblicità gay friendly.
In generale però questo fenomeno non nasce solo per colpire questo target di consumatori, bensì per raggiungere soprattutto chi è a favore dei diritti civili rispondendo perciò ad altre spinte economiche e di marketing, che si possono riassumere in una generale tendenza al pinkwashing: una nuova forma di marketing sociale che le aziende adottano non tanto per reclamizzare il prodotto in sé, bensì per avvicinare il consumatore allo “storytelling” della politica aziendale e di conseguenza a condividerne gli ideali che propone.
Insomma, il pinkwashing è sicuramente un buon business per le aziende sia per la promozione di un bene di consumo, sia per la reclamizzazione della tendenza “gay friendliness”. È vero anche che se domani l’uso per esempio di sostanze nocive nell’alimentazione o qualunque altro aspetto di natura etica diventassero temi predominanti nell’opinione pubblica, le multinazionali sarebbero le prime a cavalcare questi messaggi per influenzare le scelte di consumo.
Ma è quindi una strategia per difendere i diritti civili solo per interesse economico oppure si può parlare di una rivoluzionaria tendenza delle grandi aziende che reagiscono e si adeguano alle priorità morali e civili di un paese intero.
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