La Corporate Social Responsibility è ormai argomento gettonatissimo, considerando che soprattutto le grandi aziende sono sempre più sensibili all’argomento e protagoniste della sua diffusione. In particolare sono le multinazionali le “più responsabili”, per oltre l’81% , mentre le piccole medie imprese italiane registrano solo un 19%, segno comunque che la Csr è una presenza ormai consolidata nelle più importanti realtà industriali ma che si sta facendo strada anche in quelle minori.
Formazione ed educazione per i giovani e sostegno dei paesi del terzo mondo sono tra le aree in cui le aziende scelgono maggiormente di intervenire per concretizzare i propri progetti, mentre a ruota seguono la ricerca sanitaria, l’ambito sociale e l’infanzia per finire con progetti dedicati alla tutela dei diritti umani, del patrimonio culturale e a iniziative di varia natura per i propri dipendenti.
Molto attuale è la collaborazione di diversi brand con gli ambientalisti soprattutto per ridurre lo spreco di acqua, risorsa fondamentale per il pianeta che ha potuto (e può) contare sull’appoggio di importanti aziende impegnate su questo fronte.
In ambito beverage, Ferrarelle SpA ha lanciato il progetto Acqua che fa del bene, in collaborazione con UNICEF, con l’obiettivo di rendere l’acqua uno strumento di evoluzione sociale per le popolazioni per cui questa risorsa non è così scontata. Il primo step ha coinvolto con successo l’Eritrea, con la realizzazione di sistemi idrici e servizi igienici in 44 scuole in questo paese e in un secondo momento il Ciad, con l’obiettivo di arrivare a costruire 150 pozzi per far arrivare l’acqua potabile a oltre 60.000 persone. E come accade per ogni iniziativa che funziona, il successo della collaborazione Ferrarelle Unicef è stato subito registrato dal web, e in particolare su Facebook è stata creata l’iniziativa Bicchieri di Solidarietà, finalizzata a sensibilizzare gli utenti sul problema dell’acqua in Africa: per ogni nuovo fan iscritto alla pagina di Ferrarelle sarebbero state devolute 10 bustine di sali reidratanti. Il risultato è stato importante, con la registrazione di quasi 50mila nuovi iscritti, per un totale di circa 500mila bustine donate.
Anche il lusso non resta a guardare, come dimostra la celebre campagna Acqua For Life firmata Giorgio Armani e Green Cross International che, nata qualche anno fa con lo scopo di donare acqua potabile ad alcune comunità in Africa, è riuscita a devolvere oltre 52 milioni di litri d’acqua raccolti attraverso la vendita dei profumi Acqua di Gio’ e Acqua di Gioia. 100 litri per ogni flacone venduto e 50 litri attraverso un semplice Like sulla pagina Facebook dedicata all’operazione che oggi ha raggiunto quasi i 570mila mi piace.
Certo non è sempre semplice muoversi nel complesso universo della social responsability ed orientarsi nella giungla del “dover fare del bene più che del voler fare del bene” e spesso lo scenario di fronte al quale ci si trova non lascia alcun dubbio sull’esigenza che le grandi aziende hanno di tutelare la propria immagine attraverso azioni di social responsability. Tra gli esempi celebri Coca Cola e Nestlè. Coca Cola ha iniziato a preoccuparsi di questa risorsa nel 2001 dopo aver dovuto chiudere un impianto di imbottigliamento in India a causa delle proteste per l’impatto negativo – smentito dalla società – sulla distribuzione idrica locale. Da allora il colosso di Atlanta ha speso quasi 2 miliardi di dollari per ridurre il fabbisogno dei suoi 893 stabilimenti e per lanciare campagne a favore della salvaguardia ambientale, e investito più di 1 miliardo di dollari nell’installazione di impianti per il trattamento delle acqua. Complessa anche la situazione di Nestlè, al centro di polemiche nate dalla contraddizione tra l’aver speso, solo nel 2013, oltre 31 milioni di euro per le nuove soluzioni di trattamento per l’acqua e la vicenda Pure Life che è costata non poche critiche alla multinazionale svizzera, accusata di sfruttamento per aver estratto l’acqua, poi imbottigliata con il marchio Pure Life, da una riserva della California, togliendo le riserve ai pellerossa che abitano in quella zona.
Un mondo complesso, dunque, all’interno del quale è difficile orientarsi, trovare le giuste leve da muovere e soprattutto trarne le corrette conclusioni. Quello che certo non è opinabile e che possiamo serenamente affermare è che è evidente che un progetto di CSR, se sviluppato in modo corretto, è anche un importante strumento di crescita aziendale, poiché un comportamento socialmente responsabile contribuisce a sostenere l’immagine di un’azienda con notevole impatto in termini di brand awareness ed, in alcuni casi, di profitto.
L’acquisto consapevole in Italia è un trend in crescita e mentre si parla di contrazione dei consumi aumentano gli Italiani che acquistano prodotti e servizi da aziende che hanno sviluppato programmi di sostenibilità sociale (+ 12%).
Agli italiani dunque piacciono le aziende impegnate socialmente, se è vero che il 73% dei consumatori è pronto a consigliare i prodotti di aziende percepite come “socialmente impegnate”( CSR RepTrak Pulse 2013) generando un passaparola positivo fondamentale.
E questo le grandi aziende certo non lo ignorano confermando la logica del do ut des dove “fare del bene” diventa quasi imprescindibile per lavorare in termini di immagine e di reputazione.
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