Dialogo diretto con i consumatori e massima trasparenza: questi gli obiettivi della campagna PR Our Food. Your Question promossa da McDonald’s Canada. L’idea è tanto semplice quanto efficace: un portale che raccoglie tutte le possibili domande arrivate dai consumatori sui ristoranti McDonald’s e (soprattutto) sul cibo e un team dedicato di 10 social media specialist che, in sole 6 settimane, ha ‘servito’ oltre 5.000 risposte personalizzate utilizzando testo, foto e video. E massima onestà.
I risultati sono andati oltre ogni più rosea aspettativa dell’azienda, che dopo la campagna ha visto impennare il proprio tasso di interazione con i consumatori, con una media di permanenza sul sito McD vicina ai 5 minuti (quando il tempo medio di engagement di Google Plus tra settembre e gennaio scorsi è stato di circa 3 minuti); gli 8 video creati ad hoc post campagna e diffusi su Youtube hanno raggiunto quasi i 10 milioni di views.
Come spiegare questo successo?
Una ricerca condotta da Mc Donald’s dopo la campagna ha confermato quanto gli utenti – i consumatori – fossero convinti della sincerità delle risposte date dall’azienda e quanto avessero apprezzato che si fosse data risposta a ogni tipo di domanda, anche le più paradossali o ‘difficili’ (e per un’azienda come McDonald’s le domande ‘difficili’ erano davvero sempre in agguato). In un momento in cui i consumatori sono sempre più attenti alla qualità, alla provenienza o al trattamento di quello che mangiano, la strategia di comunicazione del colosso del fast food è stata vincente, trasformando quelli che potevano essere percepiti come punti deboli (tendenzialmente da nascondere) in punti di forza da portare alla ribalta, supportando le risposte con testimonianze dirette del personale dei ristoranti, con scene di vita quotidiane ‘rubate’ (si fa per dire) dalle cucine o dai set degli spot pubblicitari. Un mix perfetto di Trasparenza ed Engagement, toccasana per la reputazione del marchio.
Molti sono gli esempi di aziende che hanno approcciato con forme e mezzi diversi la strategia della trasparenza, lo fece ad esempio Coop Consumatori Nordest tempo fa con la campagna di comunicazione ‘Come fai? Fai con Coop!’ declinata in una serie di episodi video per il web, i social e la tv locale che avevano come obiettivo il rispondere a delle ipotetiche ma realistiche domande dei consumatori in modo pratico e concreto, attingendo a momenti di vita quotidiana all’interno dei punti vendita.
Altro esempio di politica della trasparenza nei confronti del consumatore è la Carta della Qualità e dei Servizi adottata da Edison come strumento di comunicazione e di informazione che permette agli utenti di conoscere i servizi offerti, le modalità e gli standard promessi, di verificare che gli impegni assunti siano rispettati, di esprimere le proprie valutazioni attraverso segnalazioni e reclami.
E ancora Barilla, marchio pioniere nel digital marketing, già dal 2009 promuove ‘Nel Mulino che vorrei’, primo esempio di progetto italiano di co-generazione delle idee che ha nell’interazione e nel dialogo diretto con il consumatore il suo principio fondante. Un caso esemplare di umanizzazione della marca. Si tratta di una piattaforma partecipativa aperta a tutti che consente agli iscritti di sottoporre idee e consigli contribuendo alla crescita e al miglioramento del brand. Le idee sono quindi condivise, votate dalla community e infine sottoposte ad un’attenta analisi di fattibilità. Se l’esito è positivo, Mulino Bianco si impegna a realizzarle (come, ad esempio, la reintroduzione sul mercato dei biscotti Palicao); in caso contrario sono pubblicamente spiegate le motivazioni della mancata realizzazione. Ad oggi la piattaforma ha raccolto quasi 6.000 idee, con oltre 150.000 voti e alcuni milioni di contatti attraverso i social network.
Sembra, quindi, che trasparenza e coinvolgimento diretto del consumatore siano strategie che pagano, almeno in termini di reputazione… ma attenzione all’effetto boomerang, soprattutto laddove il terreno su cui si interagisce è quello dei social media, dove velocità e passaparola possono trasformare una leggerezza o una sbagliata valutazione della propria strategia di comunicazione in un disastro in termini di reputation.
Ne sa qualcosa proprio McDonald’s che dopo aver lanciato la campagna McDStories attraverso un omonimo hastag di Twitter con l’invito agli utenti a condividere le loro McStories (positive sottointeso) si è trovata sommersa da ‘storie’ non proprio lusinghiere che hanno costretto alla repentina soppressione della campagna… ma di questo abbiamo già scritto …
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