Abbiamo recentemente scritto di alcune aziende, tra cui Groupalia, che avevano “approfittato del terremoto” per promuovere i propri prodotti con una superficialità e una mancanza di tatto (e anche di senso etico) disarmanti. Ma quando a lanciare l’ennesima discutibile iniziativa è una delle più grandi agenzie pubblicitarie come Saatchi&Saatchi, il colosso che ha guidato la trionfale marcia politica di Margaret Thatcher, mi viene da dire che forse è arrivato davvero il momento di fermarsi.
L’innovativo progetto di Saatchi & Saatchi “Scosse vs tweet” avrebbe dovuto infondere coraggio ai terremotati emiliani tramite un apposito sito dove veniva mostrato il confronto in tempo reale tra il numero delle scosse che si sono succedute in Emilia dal 20 maggio scorso e il numero di tweet di solidarietà postati tramite l’hashtag #scossevstweet. Una sorta di sfida on line che secondo i creativi di Saatchi avrebbe dovuto dimostrare “che, grazie al sostegno di tutti, noi siamo più forti del terremoto” perchè in queste situazioni “non c’è bisogno solo di soldi ma anche di ottimismo”. E per raggiungere tutti gli sfollati con questo “rassicurante” grafico e con i messaggi d’incoraggiamento l’idea era quella di posizionare nei centri d’accoglienza dei monitor collegati 24 ore su 24 a Internet.
“Un giochino figo da portare a Cannes l’anno prossimo”, lo definisce assai efficacemente Gianluca Diegoli di Minimarketing.it che ha lanciato la “denuncia” dell’operazione. Secondo quanto dichiarato dal blogger, l’agenzia pubblicitaria avrebbe cercato il sostegno di Comuni ed enti locali emiliani per avere un promotore dell’iniziativa, fornendone cioè la motivazione di esistenza, ma, non avendo trovato nessun patrocinio, si sarebbe inventato un gruppo fake su Facebook e un falso profilo Twitter (Noi non tremiamo) indicati nel comunicato stampa come i richiedenti del servizio.
Come spiega Diegoli, inizialmente il sito dell’iniziativa era addirittura sprovvisto di un pulsante per le donazioni, comparso solo in un secondo momento. Solo un gioco, quindi, in cui i terremotati non avrebbero guadagnato un centesimo ma sarebbero sicuramente stati più tranquilli osservando in diretta il numero di scosse crescere in modo esponenziale ogni giorno.
Con l’arrivo delle critiche, nel giro di qualche ora, Saatchi & Saatchi ha chiuso il sito www.scossevstweet.it, dominio registrato a nome del direttore creativo Alessandro Orlandi, per cui la colpa non è potuta essere addossata al solito stagista inesperto. Infatti il direttore creativo commenta tramite twitter #ScosseVsTweet Ma io mi chiedo come si possa essere così ottusi in Italia da dipingere un’attività di sostegno come sciacallaggio. E l’ottusità degli utenti viene ribadita anche nel messaggio di scuse presente ora sull’homepage del sito:
Visto il cattivo responso della rete nei confronti di questa iniziativa, abbiamo deciso di annullarla.
Ci dispiace se qualcuno si è sentito offeso.
Voleva solo essere di supporto, ma è stata interpretata male.
Ci era stato chiesto da alcuni amici di Medolla di fare magliette e cappellini da regalare con un messaggio di coraggio per le persone terremotate.
Abbiamo provato a fare di più, ma forse non è stato compreso.
Lasciamo solo un bottone, questo:
DONA ORA.
Invece di ammetter l’errore, ecco che la colpa viene scaricata sugli utenti che hanno “mal interpretato” e “non compreso”. L’agenzia non ha sbagliato, sono gli altri a non capire.
Per questo dico che dobbiamo veramente fermarci. Perché quando un’iniziativa come questa, totalmente scollegata dalle reali esigenze delle persone, proviene da una multinazionale che vive di comunicazione, significa solo che l’azione ha preceduto il pensiero. Non solo è stato svilito, come giustamente sostiene Diegoli, il reale ruolo di collante e di radar di informazioni e di diffusione delle richieste di aiuto che ha fatto di Twitter il mezzo principale di contatto nel post terremoto, non solo sono stati ignorati completamente i recenti avvenimenti (da Groupalia a Justine Mattera), ma si è agito seguendo l’originalità e la creatività a tutti i costi, dimenticandosi completamente di tutto il resto: le persone, il contesto e gli insegnamenti dei grandi papà della pubblicità italiana come i compianti Emanuele Pirella e Armando Testa.
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