Protezione dei dati e della privacy degli utenti, licenze negate e utilizzo delle app sui telefoni aziendali sono tutti temi che di recente sono stati discussi ampiamente, a causa delle ultime notizie che riguardano i social media più importanti non solo in Italia, ma in tutto il mondo. TikTok è stato ormai vietato a diversi dipendenti di istituzioni negli Stati Uniti, in Canada, Danimarca e Regno Unito, a causa delle dichiarazioni del brand, che ha ammesso di aver dato accesso a diversi dati di utilizzo ai dipendenti cinesi, causando la nascita di forti dubbi riguardo l’effettiva protezione della privacy degli utenti. Meta ha invece dato il via a una serie di discussioni molto accese, dopo aver annunciato di non essere arrivata a un accordo di rinnovo delle proprie licenze con la SIAE, escludendo quindi l’utilizzo di diverse canzoni, italiane e non solo, nei contenuti di tutti gli iscritti alle piattaforme di Instagram e Facebook. Non per ultimo, ChatGPT, pur non essendo un social, ha affrontato problemi simili, in quanto ha visto un blocco temporaneo da parte del Garante italiano all’utilizzo della piattaforma, valido fino al momento in cui non ha confermato un metodo sicuro per l’identificazione dell’utente e la conseguente protezione dei minori. Tutte questioni che coinvolgono da vicino il mondo legale, fra normative violate o incroci di legislazioni diverse, che non trovano un accordo sul piano internazionale. Ma come un contratto non rinnovato, o un diverbio sulla validità di leggi nazionali al di fuori dei confini, può andare a impattare la reputazione di alcuni fra i brand più potenti al mondo?
Partendo dal principio, Meta e SIAE si trovano in una situazione di stallo che va avanti da settimane, con la multinazionale proprietaria dei social Facebook e Instagram cha ha annunciato di voler eliminare diversi audio dalle piattaforme, andando così a intaccare i contenuti di milioni di utenti in Italia. Tutto ciò che sembra essere protetto dalle licenze SIAE, e non solo, sta venendo infatti cancellato da reel, video e storie, creando scompensi non solo nella qualità dei contenuti, e di conseguenza nel tempo di percorrenza medio di ogni utente sui social, ma anche a livello economico, con i profitti di artisti e etichette discografiche che vengono visibilmente intaccate dalla mancanza di riproduzioni su delle piattaforme che da sole rappresentano il 5% dei profitti. Al momento la battaglia più accesa su questo argomento si sta svolgendo su un piano puramente mediatico, con le due realtà contrapposte che rilasciano interviste e statement per rispondere alle vicendevoli accuse di negligenza dall’una e dall’altra parte. D’altro canto, intervengono anche le altre realtà competitor di SIAE, che sono state colpite indirettamente dalla decisione di Meta e che solo in questi giorni stanno riuscendo a ricaricare i pezzi dei propri artisti sui social.
Caso diverso è invece quello di TikTok, ormai da mesi nel mirino dei potenti rappresentanti americani, i quali hanno ufficialmente dichiarato guerra alla piattaforma affinché sia fatta chiarezza sull’utilizzo dei dati personali degli utenti, andando a opporsi fortemente alle possibilità di vendita di questi a istituzioni cinesi. Un diverbio che è ufficialmente arrivato in tribunale, con il CEO del social più famoso degli ultimi tempi che si è trovato a dover rispondere a diverse accuse avanzate dalla Commissione Energia e Commercio della Camera americana. Il social al momento, oltre a essere stato disattivato sui telefoni di diversi impiegati pubblici e governativi appartenenti a diversi Paesi, rischia anche diverse limitazioni di utilizzo da parte degli utenti più giovani.
Ma come tutto questo sta andando a toccare l’effettiva popolarità e di conseguenza, la reputazione di questi brand, che nel corso degli anni hanno goduto di un’ascesa costante e sicuramente invidiabile? Se da un lato Meta ne sembra uscire quasi del tutto immacolata, con una forte percentuale della popolazione italiana che si schiera contro la SIAE a seguito dell’invio da parte di quest’ultima di un comunicato stampa molto diretto e senza filtri, TikTok non sembra aver avuto la stessa fortuna.
Pur essendo una delle app più utilizzate in Italia, soprattutto dai giovani e giovanissimi, i continui blocchi di questa da parte di parlamenti e commissioni, e le vagliature di leggi che ne vieterebbero l’utilizzo – quanto meno l’utilizzo prolungato – sotto una certa età, le conversazioni online al momento non mostrano preoccupazione da parte degli utenti italiani, ma sicuramente vedono grandi dubbi riguardo all’effettivo uso dei dati a cui la società non ha mai voluto rispondere in maniera chiara e trasparente. Ipotesi sicuramente ragionevoli, dal punto di vista di protezione dei minori e utenti in generale, ma che comunque andrebbero ad intaccare visibilmente la piattaforma, che proprio sui più giovani fa i suoi numeri più grandi. Lo stesso ChatGPT si è trovato a dover rispondere delle stesse accuse, e sono stati molti, anche i media, a chiedersi perché quest’ultimo fosse stato vietato, anche se temporaneamente, nell’utilizzo, mentre piattaforme social come TikTok e altri, continuano ad essere accessibili senza una reale conferma dell’età minima dell’utente. L’inasprirsi del dibattito su come i dati degli utenti vengano riutilizzati non fa altro che dare maggiore forza a questo tema. Per dare un ordine di grandezza, le conversazioni online con TikTok come soggetto sono aumentate a quasi 3.000 commenti al giorno, con un picco di commenti negativi nel periodo di tempo dal 23 febbraio al 2 marzo, date in cui è stata annunciata la decisione della Commissione Europea di vietare l’app ai propri dipendenti, e ancora dopo il 16 marzo, in cui si sono unite alla decisione sia Regno Unito che Danimarca. L’ultimo picco si registra poi il 23 marzo, data della prima audizione in Congresso dell’amministratore delegato del social cinese, Shou Chew. Il sentiment generico nel corso degli ultimi 30 giorni rimane comunque positivo o principalmente neutro, a favore della grande quantità di utenti che continua a utilizzare il social per postare i propri contenuti e rimandare i follower ad altri canali per ottimizzare le visualizzazioni. In ogni caso, il 39,3% delle conversazioni online tra febbraio e marzo 2023 riporta un sentimento di rabbia e ira, associato alle keyword “dipendenti”, “dati” e “problemi”.
Per quanto riguarda l’Italia, però, non sembra esserci stato alcun allarme reale o concreto da parte degli utenti, probabilmente il tutto dovuto anche al fatto che il Ministro della Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo ha subito smentito i rumors riguardo un possibile blocco anche nel Belpaese, e mettendo a tacere le proteste subito insorte dall’opposizione. La velocità della smentita ha fatto sì che neanche il popolo di internet riuscisse a esprimere la propria opinione in merito, e le conversazioni in merito si caratterizzano come neutre osservazioni dei fatti.
La situazione appare diversa per il diverbio fra Meta e SIAE, con gli utenti finali che si lamentano dell’esperienza generale sui social, ma che vedono in SIAE l’unico colpevole, mentre artisti e associazioni, oltre che etichette discografiche e altri grandi nomi, si schierano contro la multinazionale capitanata da Zuckerberg, andando a contestare le dichiarazioni di chiusura di un colosso che, proprio per le sue dimensioni, dovrebbe essere maggiormente trasparente rispetto alle proprie fonti di guadagno. Paradossalmente, è proprio Zuckerberg a ritrovarsi attaccato da questo genere di commenti, a dimostrazione del fatto che non è l’azienda a pagare le conseguenze delle sue azioni, ma direttamente il CEO, che poco o nulla ha avuto a che fare negli accordi fra i due big per una situazione che riguarda unicamente il Paese Italiano. Allo stesso modo, è Musk ad essere deriso per la sua decisione di acquistare un social come Twitter, che ad oggi si attesta con un valore di mercato dimezzato rispetto ai tempi dell’acquisto da parte del famoso e discusso imprenditore.
Viene quindi più colpito il brand o il personaggio che lo ha creato? Sicuramente in questo caso, la visibilità e la personal reputation di Zuckerberg e di Musk hanno creato un target facile per la popolazione, ma in un caso come quello di TikTok, quanto il brand sarà impattato dalle decisioni governative, in mancanza di un soggetto pubblico forte allo stesso modo del genio della Silicon Valley, che possa fungere da capro espiatorio? I dati parlano chiaro, ma finora la situazione non ha toccato direttamente l’utente italiano, elemento necessario perché si possano creare delle opinioni più concrete, che portino a delle prese di posizione ben delineate. Quello che sicuramente colpisce, e che si ripercorre anche in casi meno recenti che hanno riguardato i social, è come queste piattaforme rimangano puramente legate al mondo dell’intrattenimento. Nonostante siano spesso usate come strumento politico e di amplificazione mediatica, TikTok, Meta o Instagram rimangono sempre il primo territorio di chi cerca uno svincolo da tutte queste tematiche, e si dedica ad argomenti più leggeri, e fino a che le tematiche legali non vanno a intaccare concretamente la fruizione che si fa dei contenuti, queste rimangono principalmente spunti di discussione per una nicchia di persone. Sarà comunque interessante osservare l’avanzamento della situazione di Meta, che al momento sta effettivamente andando a danneggiare non solo artisti e proprietari di diritti d’autore nell’ambito musicale, ma tutti gli utenti italiani.