E’ colpa di Alfred Nobel se la dinamite, oltre che per far esplodere la roccia e costruire tunnel, viene utilizzata per far saltare in aria le persone? E’ colpa di Enrico Fermi se gli studi sull’atomo hanno portato alla bomba atomica? E’ colpa della Porsche se le sue auto vengono associate all’arroganza della ricchezza ostentata, in maniera volgare e irrispettosa? Nei primi due casi la risposta è un “no” senza particolari dubbi. La colpa non è di chi inventa, innova, crea progresso ma di come tutto questo venga usato. Nel terzo caso qualche riflessione in più è necessario farla.
La storia è piuttosto nota e impazza sul Web. Sul Corriere.it esce un pezzo di Andrea Kerbaker che racconta come una signora in Porsche abbia protestato platealmente e con durezza verso l’equipaggio di un’ambulanza reo di averle chiuso il passaggio per la sua auto durante il soccorso a una persona.
Il fatto, degno di un episodio de “I nuovi mostri” di Risi, Monicelli e Scola e della peggiore Italia, ha però avuto una coda inaspettata, la lettera del direttore generale della Porsche, Pietro Innocenti al Corriere, nella quale stigmatizzava che, nell’articolo, venisse citato il marchio Porsche, associandolo a personaggi negativi, arroganti o, peggio al limite del delinquenziale.
La domanda torna: è colpa della Porsche se il suo marchio è associato a una particolare “categoria” di persone? In questo caso si può rispondere: un po’ sì.
Sia chiaro, Kerbaker, secondo un approccio di deontologia professionale, si sarebbe potuto anzi dovuto limitare a scrivere “alla guida di una potente e lussuosissima supercar”, invece che “alla guida di una Porsche” ma è proprio la svista dell’estensore dell’articolo (un uomo di comunicazione, peraltro) a portare a riflettere: la reputazione della Porsche è quella di un tipo di auto ritenuta adatta a un certo tipo di persone. Non voglio scendere nei dettagli, sarebbe inutile, ma comunque parliamo di una tipologia di persone non esattamente considerate irreprensibili, eleganti o simpatiche.
Il problema è che la reputazione di cui godiamo è a tutti gli effetti “colpa nostra”. Siamo noi, persone o aziende, a costruircela nel tempo. Che Porsche abbia un problema di reputazione del proprio marchio è abbastanza evidente. La lettera piccata di Innocenti, pur giustificata nello specifico, non coglie il vero problema: la Porsche, a quanto pare, non ha una buona reputazione.
E’ da qui che il Direttore generale deve partire e non solo nello stigmatizzare la svista in un articolo. Deve, in buona sostanza, chiedersi il perché, istintivamente, l’estensore abbia sentito il bisogno di utilizzare il brand Porsche per rendere ancora più efficace il suo racconto. Un processo a livello istintivo, secondo me, ma, dato che la reputazione è un processo percettivo e istintivo, quella svista è sintomatica, prima che sbagliata.
Anche scorrendo i commenti, i tweet e tutte le conversazioni social che si sono generate da questo fatto, emerge in maniera piuttosto chiara che questo gap reputazionale della Porsche esiste ed è condiviso. Cosa fare quindi?
La Rete ti permette di capire cosa pensano le persone di te o della tua azienda e ti mette a disposizione strumenti potenti, se ben utilizzati, per modificare e raddrizzare situazioni non positive. Di nuovo, cosa fare quindi? La Porsche, oltre a prestare attenzione al Web dovrebbe analizzare seriamente il proprio posizionamento reputazionale, ascoltando non solo i propri consumatori, ma l’opinione pubblica più in generale, tramite strumenti di monitoraggio on e off-line.
Ignorare questi aspetti e poi risentirsi degli effetti di questa noncuranza somiglia molto all’atteggiamento di quei nobili che si sorprendevano, con altero distacco, delle critiche del popolo.
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Cosi come successo con le Smart, che vengono odiate dai più perché chi le guida, a volte, si dimentica il codice della strada 😉
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