Il livello di preoccupazione degli internauti per la tutela della propria privacy è alto.
Non stupisce quindi il fatto che molti utenti Facebook – credendo a un fake – abbiano recentemente pubblicato sul proprio profilo Facebook un messaggio nel quale si negava il permesso a “qualsiasi persona o ente o agente o agenzia di qualsiasi governo, struttura governativa o privata, utilizzando o il monitoraggio di questo sito o qualsiasi dei suoi siti associati, (…) di utilizzare informazioni sul mio profilo, o qualsiasi parte del suo contenuto compaia nel presente”. E d’altra parte il timore della rete non è infondato: una recente inchiesta del Wall Street Journal condotta esaminando 100 tra le più popolari applicazioni Facebook ha dimostrato la facilità con cui si può risalire, proprio attraverso queste app, non solo ai dati sensibili (indirizzi e-mail, residenza, preferenze sessuali ecc…) dell’utente che ha scaricato il software, ma anche alle informazioni degli amici.
Ma a fronte di tanta preoccupazione, gli internauti sono davvero consapevoli delle informazioni che lasciano di se stessi in rete?
Risponde –negativamente- a questo interrogativo Febelfin, la Federazione Settori Finanziari del Belgio, con “Ask Dave” una campagna estremamente efficace, divertente e diretta realizzata per fare awareness a favore della Federazione e per mettere in guardia gli utenti da un uso incauto del web e dei social. Ignari protagonisti dell’iniziativa comuni passanti, “reclutati” durante una passeggiata e invitati a testare le capacità di Dave -sedicente mago- in grado, con lo stupore di tutti i presenti, di fornire informazioni estremamente dettagliate sull’interlocutore a cui si rivolgeva. Il segreto del medium –svelato solo in un secondo momento- non era naturalmente la paragnosia ma un team di specialisti della rete che, interrogando il web, era riuscita ad ottenere informazioni estremamente dettagliate sui malcapitati e occasionali questuanti.
Anche se il promo era naturalmente rivolto a possibili clienti di servizi di “internet banking sicuri”, l’invito a una maggiore cautela nelle attività online è implicito. Ed è proprio questo uno degli aspetti più interessanti di tutta la campagna: essere riusciti a parlare di un tema potenzialmente critico per il proprio core business (come i rischi connessi all’uso del web per chi offre servizi di internet banking), posizionandosi “al di fuori della crisi”.
Diametralmente opposta, ma altrettanto efficace, la strategia adottata da Google che invece, per parlare di privacy in rete, ha scelto di puntare non sull’emozione ma sulla razionalità. Dopo aver appurato, mediante un’indagine commissionata a Duepuntozero Doxa, che il 79% degli italiani si avvicina a internet con timore – e che però circa 3 utenti su 4 indicano trasparenza e controllo come strumenti elettivi per tutelarsi in rete – il colosso del web ha infatti lanciato il sito google.it/BuonoASapersi dove, i consigli per rendere più sicura la navigazione, si accompagnano a un programma di formazione rivolto alle scuole e realizzato in collaborazione con la Polizia Postale. L’iniziativa, che proprio in questi giorni sta trovando attuazione tra i banchi degli studenti italiani, dimostra ancora una volta come potenziali minacce, se opportunamente gestite, possano diventare risorse per un’azienda. Creando una migliore cultura dell’utilizzo della rete infatti Google non solo limita le possibili crisi future, ma sposta dallo strumento – ossia il motore di ricerca – alle modalità di utilizzo – e quindi al singolo fruitore – il concetto di rischio. E se la coverage dell’iniziativa fuga qualsiasi dubbio sull’efficacia comunicativa del progetto, il coinvolgimento di partner istituzionali garantisce ulteriori ricadute positive sotto il profilo della reputazione. Si può chiedere di più?
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