Il titolo MPS ha perso in Borsa nell’ultima settimana di gennaio il 18% del suo valore. Saipem alcuni giorni fa, il 30 gennaio, è letteralmente crollata in Borsa con una performance negativa senza eguali in questo 2013; il titolo ha infatti perso ben il 34% in una sola giornata; entrambi scherzi del destino? Evidentemente no.
Sono fatti, ovvero sono le incontrovertibili conseguenze dettate dal mercato e dai suoi player che, a valle dell’analisi di determinati comportamenti aziendali, hanno penalizzato e bruciato in pochissimo tempo un capitale di credibilità cumulato in anni di gestione evidentemente poco chiara a quasi tutti. I numeri, le attività aziendali che li producono e il loro storytelling, hanno una naturale cointeressenza, e la mia analisi non vuole puntare il dito su Tizio o su Caio ma vuole ancora una volta tirare le fila sull’importanza dei comportamenti e il loro valore reputazionale.
Nei due casi che abbiamo davanti agli occhi in questa ultima settimana, stiamo parlando di aziende con una reputazione più o meno solida (decisamente più quella di Saipem che MPS), sia agli occhi degli analisti che di tutti gli stakeholder e che avevano, però, performance evidentemente “drogate” dalla continua, stressante ed eccessiva richiesta da parte del mercato di utili, liquidità, cash flow, margini. Insomma, un ritorno sugli investimenti di brevissimo termine perché la trimestrale, la quadrimestrale, la semestrale impongono un giudizio di sintesi: una nettezza incontrovertibile. Bene, non ci sarà una qualche “colpa” di quei mercati se due top manager come il dr. Pietro Franco Tali (che a proposito di mezzi di comunicazione, nonostante le dimissioni, campeggia ancora sul sito di Saipem nell’apposita sezione) o l’avvocato Giuseppe Mussari hanno esercitato le deleghe dei consigli di amministrazione di due aziende così importanti per la nostra economia, operando con tanta “superficialità” a danno della loro stessa carriera? Personalmente sono portato a credere che, dopo almeno 15 anni in cui si filosofeggia sulla portata e sull’importanza della cosiddetta società dell’informazione, tutte le persone che siedono all’interno di un consiglio di amministrazione ed i relativi executive, debbano essere consci del valore del reputation index.
Vien da se, che la diretta connessione di questo indicatore con la validità e l’efficacia dei comportamenti aziendali e soprattutto dei tempi di attuazione di questi comportamenti, non possono essere solo di breve periodo e non possono essere dettati solo da un valore “più” davanti ad una performance di borsa.
Laddove non dovessero essere sufficienti i due segni “meno” che Saipem e MPS hanno inanellato nell’ultima settimana e relative conseguenze “contabili” oltre che sulla brand value, faccio menzione anche della perfomance altrettanto negativa di Apple, che ha perso l’ 11% dopo la presentazione della sua ultima trimestrale. Un dato di questi ultimi giorni, raccontato con dovizia da Stefano Maruzzi nel suo post, che ho trovato altrettanto interessante e che mi conferma quanto i mercati siano alle volte “isterici” nell’analisi delle variabili, e che quindi non possano nel bene e nel male essere l’unico driver per azionisti e consigli di amministrazione. “A valle dell’ultima trimestrale, i commenti sul declino di Apple, l’incapacità del CEO Tim Cook di guidare l’azienda, la mancanza di innovazione e il progressivo allontanamento dei consumatori, si sono sprecati in quantità industriali ed hanno tenuto banco dal punto di vista mediatico. Di conseguenza l’azione è pesantemente calata rispetto al record storico di inizio settembre 2012: questo è un fatto inconfutabile. Altrettanto incontrovertibile è che i numeri prodotti nel 2012 siano da sogno su tutti i fronti: fatturato ($54.51 miliardi di dollari, record di tutti i tempi e valore superiore all’indicazione di $52B fornita alla fine del trimestre precedente), marginalità (poco più $13 miliardi di dollari), volumi di vendita utenti e consumo dei servizi e prodotti offerti (48 milioni o +29% YoY di cui gli iPad 23 milioni +48%).”
E’ evidente che in questo caso lo “storytelling” della trimestrale non è risultata credibile e convincente; certo è che gli analisti e soprattutto gli shareholders sono e rimangono componente rilevante, ma l’impresa ha un mix di pubblici e di performance su cui basare obiettivi e kpi. E’ decisamente distonico perciò, che si discuta di brand equity e di corporate reputation all’interno dei consigli di amministrazione solo durante una crisi oppure prima di un’operazione di carattere straordinario (M&A, cessioni asset, IPO….). Momenti in cui è assolutamente necessario inserire una cifra, magari col più davanti, accanto alla voce.
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