GAP, il colosso americano dell’abbigliamento casual, è particolarmente attivo nelle comunicazioni digital e ha spesso incoraggiato dipendenti e consumatori ad interagire sul web, attraverso gli strumenti social.
Ma dipendenti e consumatori devono essere coinvolti su ogni argomento?
Nel 2010 GAP aveva annunciato sulla pagina FB l’intenzione di modificare il logo aziendale coinvolgendo il proprio pubblico nell’importante decisione, trasformando il formato e il carattere dell’ormai riconoscibilissimo quadrato blu. L’operazione di restyling ha scatenato le critiche più spietate sia dei fan di Gap che degli esperti di grafica che hanno costretto l’azienda a tornare sui suoi passi. Dopo alcuni giorni di lamentele feroci lo stesso Presidente ha dichiarato che il colosso dell’abbigliamento USA manterrà il vecchio logo e ha riconosciuto di aver perso una opportunità di avere un rapporto corretto con la propria comunità.
La case GAP fa riflettere su come anche un’azienda che esiste da 20 anni e con un’identità di marca altissima possa commettere degli errori nell’era delle conversazioni, non sapendo come condurre i temi e le regole della comunicazione sui social media. Un’operazione di crowdsorcing, proprio per la sua grande dimensione sociale, deve essere opportunamente regolamentata: Gap non crea un brief né una piattaforma dedicata per raccogliere le proposte creative, né interviene nella discussione su Facebook, limitandosi a eliminare i commenti offensivi.
Un cambio di logo è un processo che richiede tempo e un’adeguata strategia.
I social media possono essere un luogo reale di dibattito, purché ci sia qualcuno che lo gestisca opportunamente.