A volte la comunicazione non coincide con la costruzione di un messaggio da inviare a un destinatario.
A volte la comunicazione è molto di più. Una risposta non data. Una risposta data male. Una risposta ancora da dare. Accade anche questo nell’era del villaggio globale, era in cui ciò che fai prende un senso preciso a prescindere dal posto del mondo in cui ti trovi.
Ecco allora che accettare di fare un concerto in Uzbekistan, quando dietro la cabina di regia c’è la notissima figlia del dittatore che viene accusata da diverse associazioni per i diritti umani di ridurre migliaia di bambini in semi-schiavitù, non è azione da sottovalutare.
Caro Eros Ramazzotti, grazie per avere risposto alle critiche del Corriere della Sera direttamente dal tuo sito, una risposta quanto mai attesa. Non si poteva credere al fatto che saresti andato alla corte di un dittatore semplicemente perché era un appuntamento fissato su una scaletta o suggerito da un manager. Non si poteva accettare che la denuncia, senza se e senza ma, di quel bambino che si chiama Nino, che ha dieci anni e che vive in più di mille periferie, si spegnesse a Tashkent, la capitale a 41 gradi di latitudine a nord e a 69 gradi di longitudine a est.
Grazie Eros per aver specificato che la scelta non è stata dettata semplicemente da una scaletta. Grazie per averci spiegato che sai cosa accade nelle parti del mondo in cui vai a cantare, Uzbekistan compreso.
Grazie per esserti lasciato prendere dal dubbio e per aver dichiarato che: ‘Chi sfrutta il lavoro dei bambini sarà sempre mio nemico. Chi opprime il proprio popolo sarà sempre mio nemico. Chi non divide con i deboli la propria fortuna sarà sempre un uomo molto diverso da me.’
Nell’era del villaggio globale e della comunicazione veritiera e responsabile, sapere dove è ‘collocato’ l’Uzbekistan, aumenta la nostra reputazione.