Un’ipotesi etimologica relativa alla parola “coglione” la farebbe risalire al greco κολεός, koleós , “sacchetto”, “involucro”, “guscio”.
“Coglioni” sarebbero quindi, con buona ragione, tutti quei giovani che svolgono un lavoro creativo e che, ricattati con uno stage e con la promessa della “visibilità”, non vengono pagati, pur impegnandosi senza orari, spesso anche il sabato e la domenica. “Coglioni”, perché il loro portafoglio, alla fine dello stage o dell’ “esperienza”, sarà un guscio ancora più vuoto che all’ inizio, se i genitori non avranno provveduto con un aiutino.
“CoglioneNo” è una bella iniziativa promossa da Stefano De Marco, Niccolò Falsetti e Alessandro Grespan, tre giovani videomaker, componenti del collettivo Zero, che, con tre film molto divertenti che stanno facendo il giro del web, hanno preso di mira il vizio (molto italico) della mancanza di rispetto (e di remunerazione) per il lavoro creativo. Guardateli, se non li avete già visti.
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E dopo averli visti chiedetevi A) se è passato più di un mese da quando avete sentito la frase “Per questo progetto non c’è budget” (anche se lavorate da anni), B) se qualcuno oserebbe dire la stessa cosa a un vero antennista, a un vero giardiniere, a un vero idraulico, protagonisti dei tre film (e se l’ha fatto, se riesce ancora a raccontarlo dopo essersi preso in testa una chiave inglese numero 24).
Tanto dicono già i tre brevi film, tantissimo è stato detto nei commenti immediatamente successivi, che sembrerebbe non esserci spazio per ragionamenti ulteriori. O forse no. Il discorso di Zero (nomen omen) si può certamente allargare in Italia a tutto il lavoro intellettuale, giovane e meno giovane: spesso mal impiegato, sempre mal pagato. Perché? Proverò a cercare delle spiegazioni.
Una la identifico nel forte radicamento, nel nostro paese, di quella “cultura” populista che cova un rancore atavico nei confronti degli intellettuali (anzi, degli “intellettualoidi”) e che li accusa di tutti i mali possibili e immaginabili, soprattutto dell’eccesso di astrazione e di analisi, di sofismi e di dubbi, cui vengono contrapposti il sapere immediato e il sentire autentico. Insomma, la solita storia del ventre della nazione contro la sua testa. Pensiamo per esempio al berlusconismo, al leghismo, ma anche al grillismo. E se il pensiero prevalente è che il lavoro creativo sia qualcosa di astratto e di complicato, talvolta inutile e dannoso, perché si dovrebbe pagarlo? Tutt’al più, un calcio nel sedere e via andare.
Un’altra causa, diametralmente opposta alla prima, sta forse nel permanere, nella nostra cultura, di elementi vetero-umanistici e
– azzardo anche – pre-marxiani. Se non possiamo accettare il fatto che le idee possano essere vendute e comprate né più né meno come le merci sul mercato (perché troppo “alte” e troppo nobili), di nuovo, perché dovremmo pagarle? Il lavoro creativo, nel piacere che dà a chi lo svolge, contiene già in sé la sua paga. Come vi viene in mente di chiedere un normale compenso?
Qualcosa del genere deve aver pensato anche quel funzionario del Ministero del Lavoro che alla fine del 2013 ha fatto partire sulla piattaforma Zooppa un contest (scadenza, il prossimo 29 gennaio) per la creazione di un sistema di comunicazione per “Garanzia Giovani”, progetto europeo che dovrebbe favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. “In palio” (come nella più classica “Ruota della Fortuna”), 16.000 euro. Non è tanto l’ammontare della cifra che vale la pena discutere, quanto il fatto che questa sia trattata come un omaggio per una prestazione, piuttosto che come un compenso per un lavoro. Anche perché (lo sapremo in chiusura) alla gara su Zooppa avranno partecipato centinaia e centinaia di persone, lavorando gratis et amore Dei. E non chiediamoci poi chi pagherà il tempo di chi dovrà esaminare gli elaborati!
Dice testualmente il Ministero del Lavoro (sic!) che l’operazione “nasce dal desiderio di far partecipare il più ampio numero possibile di giovani a un progetto rivolto proprio a loro”. La prossima volta che il funzionario dovrà riparare il proprio water, provi a chiedere al “più ampio numero possibile” di idraulici se vogliono “partecipare al progetto”.
Si può ridere di tutto questo, ma ci si può anche chiedere se un paese come l’Italia, in grave crisi in tutto il settore manifatturiero e più in generale nel suo hardware, non farebbe bene a puntare sul suo (ancora vivo e vivace) software, ovvero sulla creatività e sulle idee; qualcosa che all’estero ancora ci riconoscono come facente parte del nostro DNA, ma che noi per primi non capiamo, non rispettiamo, non valorizziamo. E alla fine, quindi, non paghiamo.
E’ qualcosa che riguarda l’intero paese (anche se colpisce i più giovani) e che richiederebbe un cambio di paradigma e una nuova visone culturale e politica. Ma per questo progetto, ve lo dico subito, non c’è budget.
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Il problema dei #forseCoglioni è che si mettono a lavorare prima di aver prodotto un preventivo e ottenuto lo stesso firmato e accompagnato da relativo acconto.
Spesso i #forseCoglioni sono talmente professionisti che non hanno mai pensato di aprire la partita IVA e di comportarsi come tali.
Credo che i #forseCoglioni facciano più che altro danno ai #coglioniNO che si ritrovano a dover fare i conti anche con questo tipo di concorrenza, con ovvie conseguenze sui prezzi di mercato.