Un terzo dei consumatori, circa il 33%, sceglie di comprare prodotti da brand che hanno una strategia di responsabilità sociale d’impresa integrata al proprio business. Questo perché la sostenibilità è un tema sempre più importante per il consumatore, perennemente circondato dalle conseguenze dell’impatto che impresa o prodotto hanno sull’ambiente.

Lo sostiene Unilever in un recente report, in cui si sottolinea la stretta connessione tra la scelta, da parte del cliente, di un brand e la reputazione di quest’ultimo per il suo impegno nel sociale e nel rispetto dell’ambiente. Le cifre sono piuttosto eloquenti: 1 intervistato su 5 (su un campione di 20.000 persone provenienti da 5 paesi diversi) dichiara di preferire le aziende responsabili e chiare sul processo di lavorazione del prodotto che vendono.

E’ dunque questo il valore aggiunto di un brand rispetto ad un altro? Oggi si. Per i marchi che hanno una buona reputazione in tema di sostenibilità, i risvolti positivi sono molti, primi fra tutti quelli nei mercati consolidati, dove le aziende attive nella tutela del territorio e con una strategia di responsabilità sociale integrata al proprio business crescono di più rispetto alle concorrenti. Come evidenzia Unilever nel suo report, riportando il caso di Dove e di quei brand riuniti sotto il proprio marchio globale, che sono risultati maggiormente performanti (si stima che metà della crescita totale dell’azienda nel 2015 sia stata trainata da questi brand, i quali sono cresciuti collettivamente del 30% più velocemente rispetto agli altri) proprio perché hanno scelto trasparenza, tracciabilità dei prodotti e delle materie prime e politiche di tutela del territorio.

Avere una buona reputazione in termini di sostenibilità influisce sulle vendite (il mercato dei beni sostenibili ha un potenziale non espresso di 966 miliardi di dollari) e, in un futuro non troppo lontano, potrebbe diventare determinante per la sopravvivenza di molti brand. Oggi, nel settore del largo consumo, i prodotti sono molti e molto simili tra loro e il consumatore si trova spesso disorientato. La scelta ricadrà allora sulla marca, sulla sicurezza legata all’affidabilità di un brand consolidato e in linea con i principi etici del cliente.

Alcune delle grandi multinazionali, come ad esempio Procter & Gamble, scelgono di evolversi insieme al mercato e hanno già incominciato a tagliare il proprio portfolio brand per incentrare budget e attività su quei marchi che sono risultati più performanti. Sempre P&G ha peraltro appena annunciato che in partnership con TerraCycle, specializzata nel riciclo di rifiuti, e con la multiutility francese Suez produrrà il primo flacone di shampoo composto per il 25% di plastica raccolta in spiagge, oceani e fiumi. Questo perché la distribuzione all’ingrosso decide dove mettere quali prodotti in base a necessità e preferenze dei consumatori, che chiedono una sempre maggiore trasparenza e sostenibilità, anche in Italia, dove ci si sta già adeguando alla nuova tendenza. Nel nostro paese, infatti, c’è chi si è già attivato per cambiare le cose, come Apot, l’Associazione Produttori Ortofrutticoli Trentini, che ha di recente rilasciato il primo bilancio di sostenibilità. I soci dei tre Consorzi Melinda, Sant’Orsola e La Trentina, che rappresentano 10mila produttori, 10mila ettari coltivati a frutteto e 450mila tonnellate di prodotto, hanno avviato iniziative e progetti di sostenibilità, come l’uso di energia rinnovabile per abbassare l’impronta carbonica, che hanno portato a risultati importanti a conferma dell’aumento di sensibilità su questo tema, primo tra tutti la crescita occupazionale nel comparto trentino dell’agricoltura del 7,8 %.

Ci sono poi quelle aziende che hanno anticipato i trends attuali, improntando il proprio business sui principi di sostenibilità, come Coop, da sempre impegnata nel rispetto per l’ambiente, che quest’anno festeggia 12 anni di impegno per la tutela del territorio e per una filiera produttiva sostenibile. Tra le iniziative di maggior successo, in linea con quanto affermato dalla ricerca di Nielsen sulle preferenze dei millennials italiani in tema di spesa, c’è il calcolatore d’impatto ambientale: un programma che, sulla base di dati scientifici, misura l’impronta della spesa in termini di emissioni di CO2.

Non solo consapevolezza ma anche confronto, un made in Italy che si vuole distinguere dalla concorrenza sottolineando un aspetto che sta a cuore ai consumatori: la responsabilità sociale d’impresa.

Vista la maggiore sensibilità sul tema, nella distribuzione ci sarà sempre più spazio sugli scaffali per le marche “buone”? Vedremo prima o poi un’isola nei pdv dedicata alle aziende con la migliore reputazione in tema di sostenibilità?

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