Dopo Tesco, la credibilità e la reputazione dell’Industria alimentare inglese è di nuovo in pericolo, con Findus che ha messo in commercio lasagne fake.

L’industria alimentare britannica è ancora nei guai, dopo lo scandalo che, lo scorso gennaio, ha coinvolto alcune catene di supermercati inglesi, come Tesco, Lidl e Iceland. E’ da venerdì scorso, infatti, che la stampa nazionale e internazionale sta approfondendo la vicenda della Findus UK e di altre marche di prodotti surgelati, accusate di aver messo in commercio confezioni di lasagne e spaghetti alla bolognese contenenti carne equina, invece che bovina. Crisi dunque, che questa volta non coinvolge una catena, ma la reputazione di un brand particolarmente amato dalle famiglie inglesi come la Findus, che con i crispy pancakes aveva quasi raggiunto, per popolarità, l’amato fish and chips. Scandalo che, secondo il Guardian, potrebbe rivelarsi un vero e proprio PR nightmare per la brand reputation del famoso marchio, che in Italia è associato al Capitano dei bastoncini, la cui scia potrebbe coinvolgere l’intera industria del cibo surgelato, da sempre fonte di pregiudizi e diffidenza.

Ma vediamo i fatti più da vicino osservando, in particolare, come i consulenti di comunicazione della Findus stanno gestendo questa crisis, che potrebbe rivelarsi particolarmente critica per la brand e la corporate reputation dell’azienda. E che, stando a quanto rivelato dalla stampa nelle ultime ore, sta coinvolgendo anche la Francia e la Svezia. Il tutto ha avuto inizio lunedì 4 febbraio, quando la Findus UK ha ritirato dal mercato britannico 180 mila confezioni di lasagne, dopo che la Food Standard Agency ha reso noti i risultati dei test condotti sulle paste pronte Findus: il 60% della carne contenuta nel piatto surgelato era di cavallo (in alcuni casi addirittura fino al 100%), invece che di manzo, come dichiarato sulle confezioni. Dopo gli hamburger taroccati di Tesco, in Inghilterra, l’interesse mediatico era chiaramente altissimo, e i principali quotidiani tra il 7 e l’8 febbraio (Independent, Daily Mail, Daily Mirror , Financial Times, Metro e il Guardian) hanno riservato alla vicenda le prime pagine: “99% horse in Findus lasagne”, titolava ad esempio a caratteri cubitali il Sun. Per confrontarsi con il proprio pubblico e fare chiarezza sull’accaduto, l’8 febbraio, Findus ha pubblicato nell’home page del proprio sito web il seguente messaggio (che è tuttora ben visibile):

FINDUS UK – A MESSAGE TO OUR CUSTOMERS – At Findus UK our first priority is our customers and providing quality products they can trust. But we know that many of you have been concerned by the news this week […]. We understand your concerns, we are sorry that we have let you down and we want you to know the facts. On Monday 4th February 2013 we undertook a full product withdrawal of our Findus Beef Lasagne whilst we investigated. Findus UK had extensive DNA testing completed by leading independent experts. On Wednesday 6th February these tests confirmed that horsemeat was present in a number of samples and this information was shared with the Food Standards Agency. The affected product is: Findus Beef Lasagne […] We do not believe this is a food safety issue but as a precaution, we are asking customers who may have already bought Findus Beef Lasagne […] All other Findus beef products have been tested and are not affected. We are acting to make sure this cannot happen again”.

Un messaggio diretto quindi, che al momento non sembrerebbe aver ottenuto l’effetto desiderato. Su Twitter, infatti, l’indignazione si sta estendendo a macchia d’olio, con gli utenti che utilizzano gli hastagh #Horsemeat e #Findus per postare immagini e brevi storielle ironiche con protagonisti i cavalli e il brand specializzato in alimenti surgelati. L’Huffington Post ha anche pubblicato una raccolta dei 60 tweet più divertenti. La crisi ha avuto il proprio momento di visibilità mediatica sui social network in particolare tra il 7 e l’8 febbraio, quando le mentions della parola “Findus” hanno raggiunto quota 63.574. Insomma, per l’azienda di surgelati non si prevedono tempi facili, se anche la Rete (veloce e virale per natura) continuerà ad alimentare lo scandalo. Tra l’altro, mentre stiamo scrivendo, la crisi sembra aver raggiunto il momento di massima allerta, con il governo britannico che ha aperto un’inchiesta, dopo avere ammesso di non essere in grado di stabilire l’esatto contenuto di milioni di confezioni di prodotti surgelati. Impossibile anche valutare se eventuali animali malati siano finiti nel tritacarne dell’industria alimentare. Nel frattempo la Findus, mentre il Ministro per l’Ambiente britannico Owen Paterson ha dichiarato ai media di prevedere nel corso di questa settimana “ulteriori brutte notizie” sull’argomento, ha rilasciato uno statement ufficiale, annunciando che avvierà un’azione legale contro i propri fornitori, per il mancato rispetto degli obblighi contrattuali circa l’integrità del prodotto.
Momenti di fuoco, dunque, per i consulenti PR della Findus, perché in gioco non c’è solo la reputazione di un’azienda ben radicata tanto nel Regno Unito quanto in Italia, ma anche la credibilità dell’industria alimentare inglese, già duramente colpita dallo scandalo dei falsi hamburger e ora coinvolta in quella che Repubblica ha definito una “cospirazione criminosa”.

Certo è che il controllo di filiere lunghe è oramai uno dei principali compiti da cui non si possono più esimere tanto l’industria di produzione quanto le principali catene distributive perché, come previsto oramai qualche decennio fa, un solo consumatore può diventare il cerino che brucia la casa, se quest’ultima ha nelle fondamenta dei deficit strutturali. In questo caso specifico stiamo descrivendo il tipico caso di una campagna di crisis product reputation che può, se mal gestito, superare gli argini della categoria di prodotto e tracimare in una crisi più allargata con effetti sulla brand equità.

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