Super Bowl o super boycott? All’azienda produttrice di birra Budweiser sono bastati 60 secondi di video #storytelling per scatenare i commenti del popolo americano (e non solo) in rete, dove l’ultima moda in fatto di protesta è il boicottaggio.

Ambientato verso la metà del 1800, nello spot pubblicitario Budweiser si vede un immigrato europeo mentre viaggia dalla Germania agli Stati Uniti e, infine, si stabilisce a St. Louis. L’uomo arriva in America e s’imbatte subito in una folla che gli dice “Torna a casa”. Più tardi, in un bar di St. Louis, qualcuno offre da bere a quest’uomo, prima che lo slogan “Quando niente ferma i tuoi sogni, questa è la birra che beviamo” appaia sullo schermo.

Alcuni hanno percepito questo spot di Budweiser come un velato (e forse neanche troppo) colpo al presidente Donald Trump, il quale ha focalizzato le sue prime due settimane nello studio ovale su un divieto di immigrazione, il Muslim Ban. Ma Ricardo Marques, vice presidente per il brand Budweiser negli U.S., nega l’intento di protesta contro il presidente e sottolinea, invece, la necessità, dietro lo spot, di ricordare al mondo il Sogno Americano, data la situazione sociale in cui versa.

Le reazioni sui social non si sono fatte attendere: alcune conversazioni su Twitter sono aggregate sotto l’hashtag #BoycottBudweiser, che ha raggiunto 1.18 Mln di visualizzazioni per ora. In molti hanno espresso la propria opinione in merito e si sono congratulati con Budweiser, dall’americano medio a personaggi politici come il repubblicano McMullin. Diversa la reazione dei sostenitori di Trump, che si sono dimostrati molto arrabbiati per il messaggio commerciale, visto come un vero attacco del brand al Presidente, e hanno lanciato la proposta di boicottare il brand della birra di riso.

Confrontando il profilo di Budweiser e quello di Donald Trump appare chiara la netta differenza tra il sentiment legato ai profili: molto positivo quello associato al brand della birra, decisamente meno quello associato al neo presidente.

Il sistema del boicottaggio non è nuovo sotto la neopresidenza di Trump, da parte dei propri sostenitori anche Starbucks, infatti, è rimasta vittima di questa pratica per aver promesso l’assunzione di 10,000 immigrati. Ledere la reputazione della marca è il chiaro intento di chi origina una campagna di boycott ma la domanda da porsi, a questo punto, è solo una: boicottare funziona davvero?

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