Nelle sale di tutta Italia questo week end arriverà Lo Hobbit, il primo capitolo della nuova trilogia firmata Peter Jackson. In Nuova Zelanda la premiere è stata trasmessa lo scorso 28 novembre, dove per l’occasione la capitale ha cambiato il proprio nome, trasformandosi da Wellington in ‘il cuore della Terra di Mezzo’. Molti abitanti del capoluogo si sono mascherati come il protagonista della pellicola ed hanno aspettato tutto il giorno sotto il sole l’arrivo dei loro idoli sulla passerella, lunga 500 metri.
Ancora una volta, dunque, la Nuova Zelanda conquista la ribalta dell’attenzione mediatica grazie a una strategia di PR costruita sul fenomeno Tolkien, e prosegue nel tentativo di creare la percezione di un’effettiva sovrapponibilità tra il mondo fiabesco e sospeso della terra di mezzo e i paesaggi mozzafiato della Nuova Zelanda –set naturale di tutte le epopee cinematografiche legate alle saghe del piccolo popolo di mezzi uomini -, e promuovendo così il turismo verso questa splendida isola.
Ed anche se l’iniziativa rappresenta sicuramente un esempio ben riuscito di marketing territoriale, l’utilizzo dell’elemento mitico-fiabesco per promuovere il turismo non è una novità. La prova? Gli scozzesi non vivevano nelle Highlands e i kilt sono un’invenzione di fine 700. Con buona pace di Mel Gibson, che all’eroismo dei guerrieri in gonnellino delle Highlands, ha dedicato la celebre pellicola Braveheart. Raccontano di uno dei più clamorosi esempi di tradizione inventata -e trasformata in volano per incrementare il turismo- gli storici inglesi Hobsbawm e Ranger che con “L’invenzione delle tradizioni” hanno dimostrato non solo come il kilt -inizialmente chiamato philibeg- sia stato frutto dell’ingegno di un magnate del legno inglese, Rawlingstone –una rielaborazione “da lavoro” della coperta che gli scozzesi utilizzavano normalmente come abito e che poco si prestava al lavoro di falegnameria-, ma anche come il legame tra un particolare tartan e un determinato clan sia stato il risultato di un arduo lavoro compiuto, a tavolino, da Sir Walter Scott, vero e proprio best seller dell’epoca. Nel 1822, in occasione della visita ad Edimburgo di Giorgio IV, re d’Inghilterra, infatti, sir Scott -a capo della Celtic Society di Edimburgo- insieme a un gruppo di cospiratori confezionò migliaia di kilt, destinando –in modo del tutto casuale- un modello a ognuno dei clan scozzesi. Tutti si prestarono al gioco -per non esserne esclusi- e al suo arrivo Giorgio IV ebbe la perfetta convinzione che i kilt fossero una tradizione secolare e con lui tutto il mondo, da quel giorno, iniziò a credere reale una favola romantica sostenuta dall’interesse economico.
Non sappiamo se i risultati clamorosi di questo fake storico fossero noti alle amministrazioni della Nuova Zelanda, ma la strategia pr sviluppata dallo stato insulare per incrementare il turismo sfruttando il fenomeno cinematografico Tolkien, presenta molti elementi di contatto con l’operazione ordita da Walter Scott. In primo luogo la creazione di un’identità forte tra un territorio e una storia “mitica”, in secondo luogo la costruzione di artefatti fisici (il kilt nel caso degli scozzesi) che di fatto traghettano dalla dimensione del mito -a quella della realtà- l’oggetto della narrazione. E così la compagnia aerea di linea – Air New Zealand- negli avvisi di sicurezza ai passeggeri, ha sostituito le hostess con Bilbo Baggins; nell’aeroporto della capitale è stata inaugurata una scultura alta 12 metri di Gollum che cerca di acchiappare pesci; in cima al palazzo delle poste centrali sono state erette grandi sagome illuminate di Bilbo e dei suoi 13 compagni nani per promuovere l’emissione di una speciale serie filatelica. Ma non solo, perché la Nuova Zelanda è, ad oggi, l’unico Paese al mondo che può emettere monete in argento e francobolli con valore legale utilizzando i personaggi di Tolkien. Anche nella case neozelandese, infine, la visita del principe di Galles (questa volta è però Carlo) ha fornito un ulteriore spunto per presentare al mondo la “nuove identità” del territorio: lo scorso 14 novembre infatti il Principe Carlo ha scelto di celebrare il proprio 64° compleanno nel palazzo delle magie (gli studi neozelandesi di post produzione dei film di Peter Jackson) insieme a Gloin. I risultati complessivi dell’operazione?
Secondo Panorama (edizione del 28 novembre 2012 pg. 171-174) sono da record: la visita ai set de Lo Hobbit è diventata una tappa pressoché obbligata per i tour operator (dal 2004 si stimano circa 200mila visitatori all’anno, che dovrebbero più che raddoppiare nel 2013). Il sito Hotels.com ha rilevato un incremento delle prenotazioni alberghiere a Wellington del 106%, e Lonely Planet ha riservato alla capitale neozelandese il 4° posto nella classifica delle più belle città del mondo. Per un giro di affari che nel 2011 si è attestato a quota 320 milioni di euro, coinvolgendo 750 aziende locali.
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